Il movimento Balai Citoyen: cronaca della rivoluzione popolare della “Scopa Cittadina” in Burkina Faso
Giornate calde in Burkina Faso, quelle di ottobre 2014. Il popolo è insorto per le strade di Ouagadougou e ha scacciato Blaise Campaoré, dopo 27 anni di potere. Il movimento Balai Citoyen ha contribuito alla rivoluzione popolare. Fotografia del movimento e cronaca di alcune di quelle emozionanti giornate attraverso la voce di uno dei suoi noti leader, il rapper Smockey. Settima puntata di Africtivistes, la rubrica di Voci d’Africa sui movimenti africani.
Contesto politico:
Thomas Sankara è uno degli eroi africani. Come Patrice Lumumba in Repubblica Democratica del Congo, dopo le indipendenze formali dei loro stati dall’impero coloniale francese, aveva osato sollevare una voce discordante alle politiche e agli interessi occidentali, in nome di una reale e degna autonomia africana. Per questo, Sankara ha ben presto incrociato la morte, dopo aver governato quel paese che lui stesso aveva ribattezzato dal vecchio nome coloniale Alto Volta in Burkina Faso (“paese degli uomini integri”), dal 1983 al 1987. Di lui, ne parleremo meglio un’altra volta. Basti qui ora sapere che i suoi ideali continuano a ispirare e mobilitare fino ad oggi tanti giovani africani e che Sankara è stato ucciso durante un colpo di stato organizzato proprio dal suo collaboratore Blaise Campaorè, che ha poi governato il paese fino alla fine del 2014: quando il popolo è finalmente riuscito a sbarazzarsene dopo settimane di protesta in reazione al suo tentativo di cambiare l’articolo 37 della Costituzione per potersi ricandidare. Blaise Campaoré è poi allora fuggito in Costa D’Avorio, dove risiede tuttora sotto la protezione di Alassane Ouattara, e dove rifiuta un mandato di arresto internazionale emanato dal Burkina Faso con il pretesto addirittura di aver acquisito la cittadinanza ivoriana (cosa che ha fatto indignare non pochi burkinabè). Intanto in Burkina Faso, dopo il tentativo di un colpo di stato a settembre, nel cui fallimento ugualmente il popolo ha giocato un ruolo da protagonista, si sono tenute le prime elezioni libere e indipendenti nel novembre scorso. Il vincitore, Roch Marc Christian Kaboré, ha da poco trascorso i primi 100 giorni di governo. E mentre sembra troppo presto per tirarne un bilancio, ha comunque già dovuto fronteggiare il primo attacco terroristico jihadista del paese a gennaio. In politica interna, aperti restano invece alcuni importanti dossier, come quelli su riconoscimento ufficiale di verità e giustizia sull’omicidio di Thomas Sankara e del giornalista Norbert Zongo, di cui i movimenti chiedono l’avanzamento. Nonostante il regime autoritario di Campaoré, la società civile e soprattutto i sindacati hanno da sempre giocato nel paese un ruolo cruciale.
Il Movimento: Balai citoyen, “il nostro numero è la nostra forza”
Balai Citoyen (letteralmente “Scopa cittadina”) è nato ufficialmente durante l’estate del 2014, dall’iniziativa di due artisti: il reggaeman Sams’K le Jah e il rapper franco-burkinabé Serge Martin Bambara, nome d’arte Smockey. Il movimento si è strutturato in diverse cellule, che nelle regioni del paese sono denominate “Club cyballe” (unione contratta dell’espressione “citoyen baleyeur”, “cittadino spazzino”) e all’estero “ambasciate cyballe” (ci sono rappresentazioni a Montreal, Washington, Parigi, Bruxelles, Bamako e in Italia). Tali “centri focali” sono coordinati da una ventina di persone che costituiscono un comitato nazionale, con sede nella capitale Ouagadougou, e che rappresenta tutta la popolazione: artisti, avvocati, studenti, contadini. Come il movimento “Y’en a marre” in Senegal, con cui tra l’altro ci sono stati fin dall’origine scambi e contatti, Balai Citoyen ha avuto grande impatto grazie al fatto che i promotori fossero artisti noti nel paese, e che utilizzassero la musica come strumento di mobilitazione. Al grido dello slogan “Il nostro numero è la nostra forza“, con magliette del movimento addosso e balai (la tradizionale scopetta africana) in mano, gli attivisti del movimento comunicano attraverso carovane itineranti, a bordo di furgoni con megafoni; se facebook e il sito internet sono utili per le campagne e la comunicazione soprattutto con l’estero, nel paese i messaggi passano attraverso la radio, il passaparola, il cellulare. Dopo aver giocato un ruolo centrale durante il sollevamento popolare che ha portato alla cacciata di Blaise
Campaoré, il movimento, coerentemente all’impegno di promozione della democrazia e senso civico, ha lanciato durante il periodo elettorale la campagna “Je vote et je reste“ (“Io voto e poi resto”). L’iniziativa era finalizzata a incoraggiare i cittadini non soltanto a esercitare il diritto di esprimersi alle urne, ma anche poi di restarci «per assicurarsi che effettivamente il loro voto fosse preso in conto, osservando gli scrutini e possibilmente anche gli spogli. L’idea era di dire alla gente di non abbandonare il campo di battaglia dopo la rivolta, ma di continuare a partecipare all’emergere di una nuova società», spiega Smockey. È stato lui a partecipare, insieme ad altri membri di movimenti africani (il senegalese Y’en a marre, il congolese Filimbi e il ciadiano Iyina) alla delegazione che si è recata al Parlamento europeo a metà aprile, invitata per presentare ciascuno le proprie lotte. Un modo per consolidare alleanze, sul continente e nel mondo.
Sempre Smockey è il nostro protagonista di Voci d’Africa: è lui a spiegarci il significato del nome del movimento e a farci un’emozionante cronaca degli avvenimenti rivoluzionari del 2014, di cui è stato tra i protagonisti.
Traduzione Voci d’Africa:
- Il movimento Balai Citoyen in Burkina Faso: la cronaca di Smockey
L’idea del balai è che è un simbolo di pulizia e chiarezza: quindi di anticorruzione, uno strumento che permette di pulire senza sporcarsi, che simboleggia forme di solidarietà perché bisogna essere in tanti per spazzare bene, poichè il nostro numero è la nostra forza. E poi è per definizione uno strumento popolare, perché ce n’è almeno uno in ogni famiglia. A questa immagine abbiamo aggiunto l’aggettivo “cittadina” per dargli una connotazione rivendicatrice.
Il giorno della manifestazione del 28 la nostra presenza è stata importante. C’era una gran folla alla Piazza della Rivoluzione e penso che se non avessimo preso il controllo del corteo non ci sarebbero stati i primi scontri, e le persone non avrebbero avuto l’occasione di continuare per una settimana a opporsi alle forze dell’ordine. Penso che tutto sia iniziato da lì.
La mobilitazione era generale e i partiti di opposizione hanno estimato che fosse già sufficiente così, e nel momento in cui ci apprestavamo a marciare loro volevano fare dei meeting e dare la possibilità ai capi dell’opposizione di esprimersi. Ma noi abbiamo rifiutato e abbiamo preso il corteo al contrario, non so se vi rendete conto, c’erano migliaia di manifestanti…avevamo giusto qualche cartello e megafono: ci abbiamo messo abbiamo messo quasi 3 ore per fare uno o due chilometri, abbiamo forzato la folla a marciare dalla Piazza della rivoluzione alla rotonda delle Nazioni Unite. è stato lì che ci sono stati i primi scontri, con il lancio di lacrimogeni, e che è iniziata una giornata di caccia e inseguimenti che ha permesso ai nostri elementi di agguerrirsi in termini di resistenza per le strade. Poi abbiamo eretto barricate in tutta la città di Ouagadougou, e bloccavamo la gente per far circolare un messaggio di disobbedienza civile e incoraggiarli ad andare all’ Assemblea nazionale, perché avevano diritto di assistere il voto e al dibattito.
Prima del colpo di stato il governo era stato preso in ostaggio tre volte, se non quattro… C’erano stati già dei segni, ed eravamo sul terreno ogni volta per denunciarlo. Eravamo una delle poche organizzazioni della società civile a chiedere chiaramente la dissoluzione delle Rsp (Reggimento della sicurezza presidenziale, creato da Campaorè per sostenere il suo regime autoritario), ed è per questo che durante il putsch siamo stati sistematicamente minacciati di morte, perche fin dall’inizio parlavamo del rischio dell’Rsp e chiedevamo il loro disarmo. Questo putsch è stato vissuto difficilmente, perché sapevamo che dovevamo agire in fretta e non lasciare il tempo alle Rsp di guadagnare terreno. Per questo, appena il putsch è stato dichiarato ufficialmente, noi eravamo in riunione alla “Maison des peuples” e ci siamo ritrovati nei dieci minuti seguenti subito a marciare rapidamente verso il palazzo: sapevamo che non dovevamo lasciar tempo agli avversari di prendere delle decisioni. Per questo siamo arrivati fino all’Hotel Palace e alla rotonda della Patt’Oie, andavamo troppo veloci per loro, altrimenti ci avrebbero bloccato prima, alla Piazza della Rivoluzione. Quando siamo arrivati lì, sfortunatamente ci sono stati i primi spari, noi ci rifugiavamo nelle case e ci seguivano. Siamo stati obbligati a cambiare nascondiglio ogni giorno per fuggire dalla Rsp, ed è stato così che l’indomani hanno distrutto il mio studio e la mia famiglia ha dovuto rifugiarsi dai vicini. È stato difficile, perché ancora una volta tanti giovani sono stati sacrificati…