Elezioni in Gambia/6. La società civile senegalese e gambiana protesta a Dakar

Elezioni in Gambia/6. La società civile senegalese e gambiana protesta a Dakar

Mentre Yahya Jammeh continua a rifiutare di accettare la sconfitta e la Cedeao si riunisce ad Abuja per trovare una soluzione, la società civile gambiana e senegalese si è ritorvata in un nuovo presidio di protesta a Dakar.

Sit in per il Gambia«Il Gambia ha fatto la sua scelta, rispettiamola»: questo lo slogan dello striscione e delle t-shirts indossate da un centinaio di persone riunite in un sit-in convocato dalle organizzazioni di difesa dei diritti dell’uomo quali Amnesty International, Raddho, Articolo 19 a Dakar il 17 dicembre. Alla Place de l’Obelisque erano presenti anche alcuni esiliati gambiani, semplici cittadini senegalesi e di altri paesi, gli artisti rapper gambiani in esilio Retsam e Killa Ace (una delle icone della protesta giovanile della diaspora contro Jammeh, esiliato dopo le manifestazioni di aprile scorso in Gambia), giornalisti di Gambia, Senegal e dei media internazionali e alcuni deputati e membri del partito al potere (Apr) senegalesi.

Brandendo cartelli con la scritta «Salviamo la democrazia in Gambia» con una mano e una bandierina del Paese nell’altra, i manifestanti hanno ascoltato gli interventi che si sono susseguiti al microfono e che hanno chiesto all’unisono a Jammeh di lasciare il potere a fine gennaio 2017, come previsto dalla Costituzione gambiana.

Tra i punti della dichiarazione diffusa dalle organizzazioni, c’è la condanna alle affermazioni di Jammeh sul fatto che non avrebbe tollerato alcuna manifestazione circa la sua decisione di contestare i risultati delle elezioni del 1 dicembre. Nel documento, si fa appello a Jammeh a rispettare la volontà del suo popolo così come il Protocollo della Cedeao (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) sulla democrazia e la buona governance e le ingiunzioni di Cedeao e dell’Unione Africana; si chiede dunque al presidente uscente di accettare i risultati delle elezioni e di condurre un corretto e pacifico processo di transizione. Un invito è rivolto anche alle forze di difesa e sicurezza gambiane, affinchè restino neutre e operino per la sicurezza del Presidente appena eletto Adama Barrow e dei cittadini gambiani.

Guarda il video: Stralcio della Dichiarazione congiunta delle organizzazioni di difesa dei diritti dell’uomo e della società civile riunita a Dakar, 17 dicembre 2016

Mentre a Dakar Amnesty International incita la Cedeao a trovare una soluzione pacifica, l’organizzazione sembra, implicitamente, non escludere invece le maniere forti. Sabato 17 ad Abuja (Costa d’Avorio) si è svolto infatti anche un vertice straordinario dell’organizzazione sulla questione. L’incontro ha avuto luogo dopo il fallimento della sua missione nella capitale gambiana Banjul il 13 dicembre, quando la presidente in carica Hellen Johnson Sirleaf -presidente della Liberia -, insieme al presidente nigeriano (Muhammadu Buhari), del Ghana (John Dramani Mahama) e della Sierra Leone (Ernest Bai Koroma) hanno cercato inutilmente di convincere Jammeh ad accettare la sconfitta e riconoscere il presidente neo-eletto. Di tutta risposta, Jammeh aveva pensato bene di far occupare la sede della Commissione Elettorale dai militari durante l’arrivo della Cedeao, e poi di effettuare ricorso alla Corte Suprema come aveva pre-annunciato. Un provvedimento banalmente assurdo e una presa in giro, visto che Jammeh stesso dovrà nominare i giudici della Corte che tratteranno il suo dossier.
Da quanto si apprende dalla stampa senegalese e internazionale sull’incontro ad Abuja, è che la Cedeao reitera l’intenzione di far lasciare il potere a Jammeh «con ogni mezzo», e che i presidenti membri dell’organizzazione saranno presenti alla cerimonia di passaggio di potere da Jammeh a Adama Barrow il 19 gennaio a Banjul. Il presidente nigeriano è stato nominato mediatore della negoziazione in Gambia e una guardia di difesa sarà inviata a Adama Barrow per assicurarne l’incolumità.

A dichiararlo è su Rfi Macky Sall, che coglie l’occasione nella stampa senegalese per negare l’invio di soldati nei giorni scorsi per la protezione del neo-eletto presidente. Riguardo a Jammeh, il capo di Stato senegalese gioca la carta della diplomazia e fa pressione “con le buone” sull’omologo vicino: dichiarando che bisogna rispettarlo, che non bisogna escludere compromessi per trovare una soluzione ed escludendo un intervento militare in Gambia (come invece il Senegal aveva fatto sotto il governo di Abdou Diouf nel 1981, quando aveva aiutato il presidente di allora Diawara a ritornare al suo posto soffocando un tentativo di colpo di stato).

Dal resto del mondo, le condanne sono unanimi: l’Onu continua a fare pressione verbale, mentre Donald Trump è entrato nella danza delle dichiarazioni e ha sparato a zero. Una settimana fa, infatti, tutta la stampa on-line senegalese riportava quanto detto dal presidente americano a proposito di Jammeh: «La poltrona presidenziale non è una proprietà di famglia. Che Jammeh lasci immediatamente il potere se non vuole fare la fine del libico Muammar Gheddafi».

Le cose sono cambiate per Jammeh, rispetto agli ultimi due decenni in cui ha agito indisturbato. Oggi, più si avvinghia al potere e più è isolato anche a livello internazionale. L’unica incognita rimane l’atteggiamento dei militari, alquanto ambigui. La situazione può risolversi o degenerare da un momento all’altro. La saga, anche in Gambia, purtroppo continua.

Guarda il video:

Intervento del rapper gambiano in esilio Killa Ace:

Traduzione dal wolof (lingua comune tra senegalesi e gambiani: ricordiamoci dell’assurda crudeltà coloniale, in questo caso francese e inglese, che ha diviso così drasticamente la sorte di popoli che condividevano la stessa terra e parlavano le medesime lingue):

«…Tutti i problemi che subiscono i gambiani, che siano in Senegal, negli Usa o in Svezia, sono a causa di Yahya Jammeh. A dakar ci sono tanti padri di famiglia che sono senza un soldo a causa di Yahya Jammeh.Se vogliamo che tutto questo cambi dobbiamo fare qualcosa. Se dipendesse da noi saremmo a casa nostra a lavorare per lo sviluppo del nostro paese, ma per il momento sappiamo che non è possibile, e la ragione è sempre Yahya Jammeh. Qualche tempo fa ho incontrato un gambiano che vive a Dakar, mi ha riconosciuto e mi ha raccontato il suo calvario senegalese, gli ho detto che tutto questo finirà presto perché Yahya lascerà il potere. Quello che voglio dire a Jammeh è che tutti i regni hanno una fine, solo quello di Dio è eterno. Abbiamo visto gli esempi dei faraoni in Egitto, di Saddam Hussein, di Blaise Campaore. A un certo punto questi regni volgono al termine, quando Yahya Jammeh dice che è Dio che vota per lui è perché ha preso questo virus. Come tutte queste persone anche lui subirà la collera divina e quindi perderà il trono…».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *