In attesa del verdetto su Hissene Habré, il “Pinochet africano”
Si sono riaperte a Dakar, lunedì 8 febbraio, le porte delle Camere Straordinarie Africane (Cae) per il processo al dittatore Hissene Habré.
Prison à perpetuité, l’ergastolo. Questa la pena che la procura ha richiesto il 10 febbraio, dopo due giorni di arringhe degli avvocati, per Hissene Habré, presidente del Ciad dal 1980 al 1990, incolpato di crimini di guerra, contro l’umanità e tortura. Il verdetto è atteso per fine maggio.
Il processo, che ufficialmente era iniziato il 20 luglio scorso, era stato sospeso per dare tempo agli avvocati di lavorare sui dossiers, dopo poco più di tre mesi (dal 7 settembre al 15 dicembre) di udienze, durante le quali sono stati ascoltati alla barra un centinaio di testimoni tra vittime dirette, indirette ed esperti.
Secondo i dati raccolti nel 1992 dalla Commissione d’inchiesta del governo del Ciad, 40.000 persone sono state vittima della repressione organizzata dalla Dds (Direzione della documentazione e della sicurezza), creata e diretta da Habré. Oppositori e civili di tutte le etnie, genere e età, sono stati uccisi, imprigionati e torturati, mentre le popolazioni del Sud, gli Hadjerai e gli Zaghawa, sono state oggetto di ondate di esecuzioni e detenzioni di massa rispettivamente nel 1983-85, 1987 e 1989-90. Alcune organizzazioni internazionali come Amnesty International e Human Right Watch hanno documentato tali atrocità. Nel 2001 Hrw ha ritrovato centinaia di documenti preziosi tra gli archivi della Dds: secondo le loro analisi, durante il governo di Habrè sono stati violati gravemente i diritti di 12,321 persone, mentre altre 1.208 sarebbero state uccise o decedute in carcere.
Durante il processo, prima della testimonianza delle vittime, sono stati ascoltati anche degli “esperti”. Tra loro, la dottoressa francese Helene Jaffé, che aveva già lavorato con le vittime del regime di Sekou Tourè in Guinea Conakry. Il medico era stato incaricato dal 1991 al 1996 dalla Commissione d’inchiesta del governo del Ciad di esaminare le vittime e certificare i casi di tortura.
«Abbiamo visitato almeno 700 persone. Anche se fisicamente non tutte erano state torturate, tutte avevano subito tortura psicologica: erano state detenute in condizioni disumane, avevano assistito a torture di altri o a esecuzioni, oppure erano sopravvissute a esecuzioni di massa. Erano anziani e ragazzi. Tutti i giorni i prigionieri morivano in cella. I tipi di tortura perpetrati consistevano in tentativi di soffocamento con un foulard davanti alla bocca o con il sollevamento della bocca per versarci del liquido – a volte benzina -, oppure attraverso l’immersione della testa nell’acqua. Una tecnica di tortura molto utilizzata era l’“arbatashar”, che consiste nel legare le braccia dietro al dorso e poi legarle a sua volta con le caviglie, in modo da arcuare la schiena: fa orribilmente male e lascia molti segni. C’erano poi le bruciature, attraverso scariche elettriche o fuoco, le frustrate, l’esposizione al sole, ecc. Le condizioni di incarcerazione erano loro stesse assimilabili ad atti di tortura: in cella non c’era niente, non c’era il bagno, ci si sdraiava per terra, mancava l’aria e faceva un caldo infernale. Si dava cibo avariato, la gente aveva la diarrea, a volte si lasciavano i cadaveri nelle celle e iniziavano a decomporsi…era ignobile. C’era un grande albero nella corte della Dds: da un ramo si appendevano le persone e poi le si immergeva nell’acqua in modo che non potessero più respirare e poi le lasciavano cadere per terra come per far esplodere un pallone: questo trattamento ha provocato in tanti hanno la rottura di organi o problemi articolari».
Ascolta la testimonianza originale:
È grazie alla volontà e alla perseveranza delle vittime se si è arrivati a processare Habré. Costituitesi in associazione dopo la cacciata del dittatore, questi hanno iniziato a censire le altre vittime e a documentare le torture da queste subite. Nel 1999, Human Right Watch li ha affiancati nella battaglia legale, insieme a un team di avvocati ciadiani, senegalesi e belgi. Nel 2000 sono state sporte le prime denunce delle vittime a Dakar, dove Habrè si era rifugiato dal 1990, dopo essersi assicurato la protezione grazie al bottino rubato al Tesoro del Ciad prima della fuga. Da allora è iniziata una lunga lotta legale, terminata solo quando l’Unione Africana (Ua) ha imposto al Senegal di estradare Habrè o di condannarlo. Nel 2013, sono nate così le “Camere Africane Straordinarie” (Cae), con il compito di giudicare tutti i crimini commessi in Ciad tra il 1982 e il 1990.
Il processo a Hissene Habrè è simbolicamente importante, perché per la prima volta nella Storia un dittatore africano è giudicato in Africa e da africani attraverso un tribunale africano: un passo avanti nella lotta verso l’impunità nel continente.
Vedi anche lo Speciale “Processo di Hissene Habré“
Guarda la galleria:
Rivivete le tappe del processo ad Habré a Dakar: dall’inaugurazione delle Camere Straordinarie Africane ai momenti dell’inizio della prima seduta al Palazzo di Giustizia di Dakar…