Speciale Dak’Art/5. Lo spazio artistico Medina in calze e cravatte: l’installazione “Nous dans nous”
Un intero edificio abbigliato con cravatte, calze e berretti: in chiusura dello speciale su Dak’Art 2016, eccovi le immagini di Nous dans nous, la suggestiva installazione di abiti usati allo spazio Medina di Dakar. Uno dei luoghi di incontro e condivisione per gli artisti della capitale senegalese.
A non saperlo, si restava senza fiato dalla sorpresa. Arrivare allo spazio Medina, dopo aver percorso strade trafficate, e ritrovarsi davanti alla facciata di una casa quasi interamente ricoperta da cravatte dai diversi colori, non è certo una vista solita. E questo, nonostante ci si trovi in un paese dove, per un occidentale, meravigliarsi da quello che appare bizzarro o dal genio creativo di un qualsiasi passante non sia per niente raro.
«È un progetto collettivo elaborato da artisti, fotografi, scultori, pittori ecc.. Abbiamo riunito le sinergie di un gruppo di artisti per cercare di farle rivivere nell’arte, nella complementarità e nell’azione. Per questo abbiamo installato tanti abiti di diverse origini, come l’Europa, l’Asia, gli Usa: ogni cravatta, ogni calza, ogni abito sono portatori di un messaggio, e posseggono una loro storia. Queste cravatte sono state indossate da ministri, banchieri, presidenti, avvocati, e tornano qui per essere portate da altre persone, che le riempiranno di altre storie. È attraverso queste che mostriamo che il mondo è unico», spiega l’artista plastico Mamadou Ndoye, detto Douts. Alla sua terza partecipazione alla Biennale di Dakar, nella quale ha esposto personalmente all’Esposizione ufficiale della Biennale In, è il curatore dell’installazione “Nous dans nous”, inclusa nella Biennale off.
In occasione della mostra, a parte le sue opere, nello spazio Medina erano esposte anche quelle degli altri sette artisti che si sono raggruppati per ideare l’istallazione: il camerunense Lamine M. e i senegalesi Samba Fall, Ibrahima Dioxane, Birame Ndiaye, Moussa Traore, Cheikha e Babacar Traore, detto Doli. La maggior parte di loro è legata a questo spazio espositivo, che in realtà è un luogo di incontro, scambio e condivisione per gli artisti del quartiere popolare Medina:
un’officina di creatività artistica nel cuore di Dakar. A crearlo, è stato proprio il padre di Doli. «Questo spazio è nato alla veglia del Festival mondiale delle arti negre, nel 1962-3. All’inizio, erano degli intellettuali che facevano politica che si raggruppano là… Poi è arrivata l’arte, che ha prevalso. Noi siamo la quarta generazione di artisti che si ritrovano in questo spazio», spiega l’artista-fotografo Babacar Traoré. Doli è alla sua quarta partecipazione alla Biennale: in questa edizione ha esposto le sue opere in cinque mostre e ne ha organizzata una personale: Liberté et expression.
«L’arte è nella cité, nel nostro quartiere, al cuore del quale abbiamo una casa culturale in cui vogliamo permettere agli abitanti della Medina di esprimersi», commenta Douts. Uno spazio, quello della Medina, tanto dakaroise quanto in connessione con il resto del mondo: gli abiti provenienti dai cinque continenti, uniti dai fili rossi che connettono uno spazio all’altro, ne rendono chiaramente l’idea.